Castelnuovo Magra, La Spezia, Sarzana… (gli altri a seguire?)
Centrodestra e centrosinistra votano insieme l’esproprio di ACAM a favore dei privati.
A La Spezia la maggioranza di centrodestra, dopo aver votato contro quando era in minoranza e aver avuto come punto di programma: “fermare la vendita dell’acqua pubblica decisa dalla giunta Federici”, vota insieme al PD & Soci per l’incorporazione di ACAM in IREN.
Gli “alternativi di sinistra” si astengono.
Per il colmo della beffa, il Comune di La Spezia ha ben pensato di approvare il referendum cittadino (“Siete voi favorevoli all’aggregazione?”) proposto dal Comitato Acquabenecomune DOPO la votazione in Consiglio comunale (qui il verbale), con ben un mese di ritardo rispetto ai tempi previsti dallo statuto comunale.
Castelnuovo segue a ruota, col PD che supera 5 a 4 la minoranza in Consiglio comunale.
Luni non pervenuta, ma visto che i consiglieri da cui ci saremmo aspettati battaglia hanno altre priorità e si limitano a supporre che l’aggregazione sarebbe avvenuta, diamo per scontata la vittoria del SI all’aggregazione.
Sarzana non è da meno: gli “alternativi di sinistra” Mione e Pittiglio – al pari degli omologhi di Spezia – si astengono, l’ex candidata di centrodestra Frassini, capitombolata anima e corpo in maggioranza, vota a favore assieme al PD & Soci, mentre l’ex UDC in maggioranza Rosignoli, a suo tempo nel consiglio di amministrazione di una partecipata ACAM, è assente così come il Consigliere di centrodestra Rampi.
E così la classe politica che ha sgovernato questa provincia per decenni (e non parliamo solo del centro-sinistra) ha realizzato il 21 e il 22 dicembre 2017 (70° anniversario – ahinoi – della Carta costituzionale) il suo “capolavoro”: prima si è appropriata indebitamente di un’azienda di servizio per uso clientelare, poi dopo averla condotta alla rovina economica, ha preso a pretesto questo disastro per realizzarne uno maggiore: regalare la nostra risorsa naturale (l’acqua) e svendere la nostra infrastruttura (le reti) alla speculazione finanziaria. Povera Italia!
A seguire l’intervento e la dichiarazione di voto in Consiglio comunale del Capogruppo di Sarzana in movimento Valter Chiappini:
INTERVENTO ACCORDO AGGREGAZIONE ACAM / IREN
Premessa: l’acqua non è merce
In apertura credo sia doveroso evidenziare ai colleghi Consiglieri, affinché rimanga almeno a verbale, la missiva che il Comitato Acquabenecomune ha inviato ai Consiglieri con preghiera di riflessione.
Riguarda un passaggio dell’enciclica di Papa Francesco sull’acqua che cito testualmente: “Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”
Capitolo uno: la svendita
Detto questo, su cui credo tutti si possa concordare pienamente, mi si dice che cedere ACAM ad IREN è un affare anche dal punto di vista finanziario e mi si rimprovera perché io, invece, dico che si svende ACAM.
Prima di entrare nel merito di quella che noi riteniamo una cessione vorrei chiarire questo mio concetto di svendita.
Quanto valeva di ACAM con le sue società, o meglio: con le società dei cittadini che sono i veri padroni?
Basta fare due conti: se il corrispettivo per la partecipazione di Sarzana ad ACAM, col suo 6% scarso, è stato di 8,5 milioni di euro vuol dire che tutta la Società partecipata ne valeva 141 e spiccioli. Se Sarzana avesse ceduto le sue quote quando valevano 8,5 milioni avrebbe ricevuto, alle condizioni odierne offerte da IREN, 17 milioni, oggi ne riceverebbe 3 e rotti.
Oggi IREN la comprerà per 58, se andrà bene, seppur con due sole società “sopravvissute”, ma con tutti gli utili che derivano dalla gestione dei rifiuti e dalle bollette sull’acqua e si comprerà pure il potere decisionale sul territorio che non ha prezzo.
Ecco perchè oggi dico che non parlerei di aggregazione, ma di “svendita”.
Capitolo due: le responsabilità politiche
Ed è giusto ricordare, oggi e in questa sede, che nessuno, fra politici cui spettavano indirizzi e controllo e amministratori nominati dai politici stessi, ha mai pagato per il disastro del patrimonio bruciato. Responsabilità da cui neanche le nostre amministrazioni si possono chiamare fuori non avendo mai effettuato il controllo analogo previsto dalla legge e che ancora oggi incombe sull’amministrazione attuale secondo la legge 175 del 2016 che sancisce definitivamente le responsabilità dirette dei Sindaci in caso di danno erariale.
Capitolo tre: Acam può farcela da sola
Ci dicono che ACAM non è in grado di andare da sola, eppure i numeri parlano chiaro:
Più 3 milioni e 900.000 euro nel 2013. Più 34 milioni e 800.000 nel 2014. Più 2 milioni e 600.000 nel 2015. Più 11 milioni e 800.00 nel 2016. E ancora un sicuro attivo multimilionario per il 2017 e tutti gli utili conseguenti.
Ecco il risultato raggiunto dal gruppo ACAM coi sacrifici che noi cittadini abbiamo fatto come comunità per avviare e portare a buon fine il “salvataggio aziendale”, in parte pagando sulla nostra pelle e con le nostre tasche, in parte con la vendita dei gioielli produttivi di famiglia, e che hanno fatto, come ha ammesso anche il Dott. Garavini, anche i dipendenti ACAM con le loro famiglie in questi cinque anni in cui ACAM è stata riportata a bilanci positivi e a produrre utili con gli ultimi suoi rami pubblici, tutelati fra l’altro dal risultato dei referendum 2011.
Quindi dissipiamo un altro dubbio: il dott. Garavini ha lavorato bene come manager, ha fatto quello che gli era stato chiesto col concordato fra creditori ed ACAM in tribunale: ACAM veleggia sicura, anche se lentamente, verso la solvibilità del debito residuo e un futuro di gestione locale per arrivare finalmente a vedere risultati positivi sulle bollette e cartelle TARI dei cittadini.
Ed è per questo che i cittadini e i lavoratori hanno pagato pesantemente: per correggere scelte scellerate e danni per cui nessuno ha mai pagato e tenersi la società, tenersi il potere decisionale in casa propria e per poter ottenere i vantaggi che scelte oculate potranno sicuramente portare sia al territorio che alle loro tasche e non certo per cederle al altri.
Oggi, però, ci venite a proporre di vendere quello che è un nostro patrimonio in attivo, nostro dei cittadini, e per il quale, ripeto ancora, noi tutti abbiamo pagato.
Oggi noi vi chiediamo quali sono i veri motivi di questa proposta di cedere un patrimonio pubblico, come quello di ACAM, nonostante il piano di riassetto da lacrime e sangue per i cittadini che ci sta consentendo di appianare i debiti e salvare la società e ha già consentito da cinque anni consecutivi di tornare in positivo e fare utili.
Ma non ci dite che ACAM potrebbe fallire, perché già il tribunale disse che ACAM non può fallire e infatti non è stato così neppure quando aveva 400 milioni di debiti.
Non ci dite che ACAM non ce la può fare a pagare il debito residuo perché il concordato ex articolo 182 bis della legge fallimentare, uscito dal tribunale nel 2012 coi tempi e modi per sanare la situazione, è stato deciso con le banche creditrici, che, notoriamente, sanno bene come fare i loro interessi; tant’è che hanno pure concesso un ulteriore prestito per permettere ad ACAM di tornare ad essere solvibile.
Non diteci neppure che c’è bisogno di investire perchè su Saliceti e Boscalino gli investimenti sono stati fatti, e ne parlerò dopo, e nel luglio 2016 sia il direttore dell’ ATO idrico che l’amministratore delegato di ACAM Acque sottolineavano che, cito testualmente, “risulta quindi un livello di infrastrutture adeguato e nel piano di investimenti, che verrà approvato da ACAM Acque Spa, sono inseriti per lo più investimenti di consolidamento delle reti a conferma della buona gestione di ACAM Acque spa”. Cosa che conferma quanto non sia necessario, e sia probabilmente pretestuosa, l’urgenza di anticipare investimenti con cui si vorrebbe giustificare questa incorporazione e svendita di ACAM.
Capitolo quattro: sui giochi di parole
E non diteci neanche che IREN garantisce ciò che oggi ACAM non è in grado, perché io ho fatto al dott. Garavini questa domanda: “perché nell’accordo ci sono solo impegni di IREN e non obblighi? Fra le due parole la differenza è sottile, ma determinante. E infatti la risposta non ci ha certo confortati. “abbiamo inserito clausole per avere più garanzia che IREN rispetti gli impegni”. Chiara affermazione che evidenzia come le garanzie non siano totali e sicure.
Capitolo cinque: la preveggenza
Perciò noi crediamo, come già lo credevamo nel Febbraio scorso quando il dott. Garavini venne a chiedere mandato per sondare il mercato, che i motivi siano altri.
Dicevamo nel Febbraio scorso:
<<Operazione che noi siamo convinti venga da lontano se mettiamo insieme il percorso che è stato fatto partendo dal piano regionale dei rifiuti liquidato in extremis dalla precedente giunta regionale, passando per la nomina di un amministratore del gruppo che viene proprio dal settore che si dice in pole position, probabilmente senza rivali per questa proposta di incorporazione, passando anche per la gara per il project financing sugli impianti di trattamento e smaltimento rifiuti di Saliceti e Boscalino che, come era palesemente prevedibile ancor prima che venisse avviata, ci ha legati ad IREN per i prossimi 25 anni, a fronte di un investimento di 7 milioni contro gli introiti al gestore di circa 60; passando ancora dall’identico tentativo di incorporazione in IREN fatto a Genova sulla locale società partecipata AMIU, e arrivando, oggi, alla nostra ipotesi di fusione con una multiutility nazionale di cui abbiamo già l’ombra costante che incombe.>> E ancora dicevamo della consulenza sull’operazione della PricewaterhouseCoopers o PwCItalia, che, è anche consulente per IREN e che, secondo quanto ci è dato a sapere incassa da IREN cifre annuali milionarie per le sue attività di consulenza.
Siamo stati dei veggenti, come qualcuno dice spesso ironicamente?
No. Semplicemente non siamo allocchi. E oltre a non essere allocchi studiamo le carte e i dati. E se non ce li danno ce li andiamo a cercare.
Capitolo sei: la scarsità di documentazione
E infatti ci deve essere una ragione se ben scarna, per una operazione di questa portata, è la documentazione che ACAM ha fornito ai consiglieri comunali.
Correttezza, norme e trasparenza avrebbero voluto che ACAM fornisse ben altra documentazione rispetto a quanto inviato all’ultimo e con tempi forse volutamente strettissimi per approfondire e dare modo ai Consiglieri di decidere con cognizione di causa.
Ad esempio un piano industriale completo che non è stato fornito. Anzi, dopo avere confermato a Febbraio scorso che il piano industriale era composto da centinaia di pagine, ma che non poteva essere divulgato per motivi di segretezza, oggi a mia precisa richiesta visto che la gara è stata espletata e le motivazioni di diniego sono sorpassate mi viene nuovamente fornito la stessa sintesi di tabelle di 37 pagine fornita a Febbraio.
Senza un piano industriale dettagliato nessuno può valutare, né la convenienza finanziaria, né la sicurezza dei livelli occupazionali ed è costretto a prendere per buono ciò che la controparte racconta.
Manca dalla documentazione il verbale della commissione per la verifica della coerenza dell’offerta di IREN.
Come mancano i patti parasociali e gli accordi in tal senso sovraordinati di IREN per poterne verificare la compatibilità con quelli che dovrebbero tutelare il nostro territorio. Patti sui quali ci risulta ci sia già mobilitazione nei vari territori per farli rispettare.
La Rappresentanza Sindacale di IREN Emilia ha giudicato un oltraggio alla dignità dei lavoratori la disdetta di tutti gli accordi aziendali ed un insulto ai lavoratori stessi. E noi dovremo credere agli impegni?
Come, ancora, manca la relazione, che ci dicono prevista dalle norme, sull’incorporante. Come valuto un’incorporazione se non ho gli elementi per valutare l’azienda che mi incorpora?
Certamente non è stata bella la risposta che il dott. Garavini mi ha dato quando ho evidenziato tali mancanze e mi ha risposto basta cercarla on line. Se questa è la risposta che viene data ad un rappresentante dei cittadini che sono proprietari di ACAM e quindi si potrebbero dire datori di lavoro dell’ Amministratore stesso, possiamo immaginarci quando ci si dovrà rapportare con un colosso come IREN con un miserrimo 2% di azioni in rappresentanza del nostro territorio.
Capitolo sette: ACAM ACQUE
Ma andiamo oltre e analizziamo un attimo ACAM Acque.
Ci cerchiamo online i bilanci dell’azienda, quelli più generali li ho rammentati all’inizio, e scopriamo come il comparto Acqua sia un settore appetito dal mercato e costantemente soggetto a tentativi di raggiri dei risultati referendari del 2011 che hanno imposto che l’ acqua non si vende, e neppure gli altri beni comuni…
ACAM Acque, dicevo, ci offre un buon esempio, e secondo noi una prova provata, perchè analizzando i famosi “frutti sperati” che avrebbe dovuto dare il Piano di Riassetto societario notiamo la seguente situazione:
fino all’anno 2012 la società viaggiava su un trend altamente negativo producendo ingenti perdite. In soli 4 anni aveva prodotto 23 milioni di perdite per poi cominciare, col piano di riassetto, dal 2013 ad oggi ad inanella utili in crescendo per più di una dozzina di milioni.
Eccoli dunque i “frutti sperati” generati dal piano di riassetto societario e che ci stanno, si, costando continui sacrifici, ma che stanno producendo risultati finanziari consistenti.
Quella che a febbraio era una domanda oggi si traduce in una constatazione: avete fatto fare sacrifici ai cittadini ed ai dipendenti investendo su un piano di riassetto che non era, in realtà, finalizzato a salvare la società per riconsegnarla sana e produttiva ai cittadini spezzini, ma, al contrario, a renderla solo il più appetibile possibile per il mercato e dunque destinata proprio ad una operazione come questa che ci state proponendo.
L’ho detto prima e il quadro si sta facendo chiaro. E’ un’operazione che viene da lontano.
Oggi siamo di fronte al un disastroso esproprio di un patrimonio indispensabile per la nostra comunità dopo avere fatto pagare il costo più pesante ai cittadini.
Capitolo otto: IREN
Ma andiamo ad IREN, e l’avevamo già detto a Febbraio…
In sintesi ben poche sicurezze ci può dare questo colosso se è vero che è stato recentemente declassato a BBB-, che è il più basso livello positivo previsto, se è vero che aumenta gli utili, ma diminuisce gli investimenti e se è vero che, nonostante abbia già grossissimi contenziosi coi dipendenti, si appresta, col suo piano industriale 2015-2020, già approvato, a realizzare l’obbiettivo di efficientamento.
Cosa vuol dire efficientamento? Che punta sui benefici economici derivanti da tagli di costi, risparmi e razionalizzazioni.
Una società che ha debiti per 2 miliardi e mezzo che è una cifra superiore al suo patrimonio netto.
Una società che investe facendo debiti con le banche, ma che produce utili da distribuire come dividendi ai soci privati, banche e fondi di investimento, aggirando, di fatto i risultati dei referendum 2011 che sancivano che sull’acqua non si possono fare profitti che si approprierà delle tariffe sull’acqua e dei piani finanziari sui rifiuti.
Una società che, ci dicono, dove gestisce ad esempio a Genova ha aumentato le tariffe, prodotto utili da dividere, ma non ha migliorato le reti giacché si legge di rotture e problemi identici a prima della sua gestione.
Una società in cui, Sindaco, Assessori e colleghi consiglieri, il nostro territorio conterà il 2% delle azioni. L’ho già detto: un sassolino sotto una schiacciasassi e il sassolino saranno i nostri Sindaci, i cittadini e il territorio che non saranno più neppure padroni di dare un indirizzo politico o fare la voce grossa in caso di dissapori o contenziosi.
Capitolo nove: la tutela dei lavoratori
Sugli impegni a tutela per personale, che secondo noi scricchiolano già prima di partire, che siano 5 o 10 anni, ritengo comunque emblematiche alcune frasi del Dott. Garavini in una audizione in commissione che sintetizzo così: “neppure io ho il posto fisso” o un’altra battuta per dire che “ACAM ha una testa troppo grossa” ed altre ancora che confermano la possibilità che i dipendenti vengano trasferiti con operazioni di accorpamento ed accentramento in altre sedi o i rischi che corrono, da subito, i dipendenti dell’indotto ovvero quelli delle cooperative in sub appalto. Fra l’altro prevalentemente cooperative di classe B, come la Maris, con operatori già socialmente svantaggiati.
Questo è stato detto chiaramente ai dipendenti?
E ripeto nuovamente che la stessa garanzia richiesta a favore del territorio attraverso “La permanenza della dimensione operativa locale nell’ambito dei servizi pubblici e strumentali a gestione del Gruppo e, per almeno il primo quinquennio – oggi mi si dice dieci anni – con la permanenza dei soggetti giuridici ACAM Acque ed ACAM Ambiente” fa sorridere e abbindola solo gli ingenui che non sanno che il Piano Industriale 2015-2020 di IREN – ed ecco perché era importante una relazione sull’incorporante – punta, come fattore determinante, sulla “Razionalizzazione della struttura societaria” mediante un progressivo accentramento delle società integralmente controllate, con l’attività operativa svolta da sole 4 società per Generazione e Teleriscaldamento, Mercato, Reti, Ambiente, e una loro progressiva riduzione numerica, per determinare una consistente riduzione dei costi operativi.
Che è’ prevedibile quindi che ben presto questo presidio territoriale spezzino venga riassorbito in una struttura sovraordinata di IREN e sostituito con semplici uffici se non addirittura call center .
Che occorre riflettere su un altro fatto: IREN è una società quotata in borsa, soggetta a profitti, speculazioni, andamento dei mercati e della borsa…
Nessunissima garanzia di futuro stabilmente positivo, come per tutte le grandi aziende quotate in borsa…
E se un colosso del genere cadesse in disgrazia e cominciasse a produrre debiti non più solvibili con propria liquidità?
E se fra qualche anno cominciasse una china come quella che ha portato al debito mostruoso di ACAM che ancora oggi pagano i cittadini?
Ecco… tutto questo vorremmo fosse valutato dai Consiglieri prima del voto.
DICHIARAZIONE DI VOTO
Intanto chiarisco… perché da qualche intervento è sembrato che io difendessi ACAM per quello che è stato, ma non è propriamente così.
Semplicemente fra il marcio e la muffa scelgo il marcio, perché se riesco a tagliarlo via e risanare la parte è sempre meglio che la muffa che si autorigenera.
Poi mi preme chiarire quello che nell’intervento non ho detto: ACAM è uno strumento. Uno strumento che serve per accaparrarsi il territorio nella logica della spartizione in atto fra le grandi aziende multiutility italiane per mettere le mani sull’acqua e sugli utili che ne derivano e non solo.
E’ quindi surreale, ma la nostra dichiarazione di voto ricalca quella del Febbraio scorso:
Oggi abbiamo definitivamente capito il giochino: il dottor Garavini ha fatto quello che doveva fare, quello che la politica e le banche creditrici hanno imposto: ha portato ACAM a produrre utili. Ha fatto quindi bene secondo il piano di riassetto stabilito dalle banche.
Ha lavorato bene? Si… ha lavorato bene. Oggi ACAM produce autonomamente utili appetibili dal mercato, soprattutto con l’acqua.
Utili che domani, in mano ad IREN, diventeranno profitti sotto forma di dividendi, si, a soci pubblici, ma anche privati, banche e fondi di investimento. Con buona pace del volere dei cittadini col risultato dei referendum 2011.
Non possiamo, fra l’altro, certo tacere del fatto che dovunque sia stato fatto un passo del genere le tariffe sono aumentate ben più di quello che poteva essere il trend previsto per una partecipata in house, su cui i soci hanno l’obbligo e la possibilità del “controllo analogo”, cosa che IREN non permetterebbe.
E non c’è solo l’acqua… infatti non possiamo tacere neppure del fatto che una delle principali mission di IREN è la produzione di energia dall’incenerimento dei rifiuti.
Sarà forse per questo che nel piano finanziario che ACAM ci ha proposto per i prossimi tre anni la percentuale di rifiuti differenziati prevista non si sblocca dal 65%? 65% che è il minimo per non incorrere nelle multe che si pagano a tonnellata di rifiuti raccolti in meno rispetto tale limite.
Mi pare ovvio che IREN avrà tutto l’interesse ad avere più rifiuti possibile da bruciare perché guadagnerebbe nella trasformazione in CSS a Saliceti, nello smaltimento, che vuol dire bruciarli come CSS nei loro inceneritori e nella rivendita dell’energia prodotta senza un minimo beneficio sulla tariffa applicata ai cittadini che con il porta a porta fanno anche il lavoro di differenziazione.
Meno rifiuti differenziati, meno introiti dai consorzi. Soldi che in caso di aggregazione non si sa neppure che fine faranno, ma che dovrebbero rientrare ai comuni produttori di materie prime secondarie differenziate come plastica, legno, alluminio, eccetera.
Ma non solo: stabilizzare la percentuale di differenziata impedirebbe di accedere agli sconti sull’indifferenziato residuo previsti dalle normative regionali che arrivano anche al 70% in base a quanto è più alta la percentuale di differenziata.
Tutto questo se, come crediamo, la politica esproprierà ACAM ai cittadini in favore di IREN… situazioni a cui aggiungo il fatto che finiremo in un colosso con 2 miliardi e mezzo di debito a lungo termine… non ne abbiamo già abbastanza dei nostri?
Mi pare ce ne sia abbastanza per pretendere che il controllo rimanga in mani totalmente pubbliche, dei comuni del territorio e con il territorio stesso totalmente padrone anche della governance e dell’indirizzo politico. Indipendentemente dal colore delle amministrazioni locali e socie di ACAM che in caso di aggregazione dimostrerebbero invece di essere le facce della stessa medaglia.
Votiamo dunque convintamente contro il piano di aggregazione proposto da ACAM.